Fritto Misto

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Chi ha paura di Grazia Deledda?

Chi ha paura di Grazia Deledda?

Donne & Cucina, nuova serie a puntate, lasagne di melanzane e pasta fresca dell'Emilia-Romagna

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Monica Campagnoli
giu 30, 2025
∙ A pagamento
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Chi ha paura di Grazia Deledda?
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Ciao, sono Monica e questo è Fritto Misto, una newsletter a base di ricette, ricordi, storia gastronomica e un po’ di Via Emilia. Per ricevere nuovi post e sostenere il mio lavoro, considera la possibilità di diventare un abbonato gratuito o a pagamento.


Da inizio anno giro attorno all’argomento Donne e Cucina senza riuscire a mettere a fuoco l’idea. Il progetto iniziale era di condividere biografie e interviste delle donne del cibo, del passato e del presente.

Tuttavia, mancava qualcosa. Era una traccia senza scopo.

Poi sono successe tre cose: ho letto Cosima di Grazia Deledda, mi sono fatta una domanda e, infine, ho ricordato una frase di Sara, la nonna materna che mi ha cresciuta.

Un libro, una domanda, un ricordo

Grazia Deledda e Luigi Pirandello, scrittori prolifici, lei sarda, lui siciliano, vinsero entrambi il Premio Nobel per la Letteratura: Deledda nel 1926 (anche se la premiazione ufficiale avvenne l’anno successivo), Pirandello nel 1934.

Nel romanzo Suo marito (1911), Pirandello racconta di un uomo modesto che sposa una scrittrice di successo. Anche i contemporanei capirono che la trama lasciava trasparire una certa rivalità non scevra da risentimento verso una donna che osava brillare in un mondo dominato dagli uomini.

A scuola tutti abbiamo studiato e letto Pirandello mentre non si può dire lo stesso di Deledda. E, purtroppo, è ancora così.

Una domanda ha cominciato a farsi strada nella mia testa: la sua voce potente è stata silenziata perché era una donna?

Mentre divoravo Cosima, che inizia con una immagine fortemente patriarcale che rimanda alla cucina come al luogo delle donne, ho ricordato una frase di nonna Sara, una cuoca straordinaria che seppe trasformare in una professione questo dono.

Diceva che da ragazza non sapeva cosa volesse dire sognare, avere progetti o desideri da realizzare. Lei, nella vita, aveva sempre e solo fatto quello che doveva. Scoprì la dimensione dei sogni da adulta, quando imparò a leggere e scrivere.

«Non volevo che un uomo leggesse al posto mio».

Tuttavia, una cosa fatta per necessità le offrì la possibilità di intrattenere una fitta corrispondenza con donne di tutta Italia per scambiare ricette e sorsi di vita. Quelle lettere rappresentarono per lei i viaggi mancati, i treni mai presi, il sogno che finalmente poteva permettersi di sognare.

Della rete invisibile delle donne prima del web, ho scritto in questa newsletter:

La rete invisibile delle donne prima del web: amicizia, connessioni e ricettari

La rete invisibile delle donne prima del web: amicizia, connessioni e ricettari

Monica Campagnoli
·
Mar 17
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Una domanda, una lettura e un ricordo sono serviti per mettere a fuoco le coordinate di questo viaggio che comincia oggi e che durerà il tempo di qualche newsletter.

Vorrei usare la cucina, intesa come spazio fisico e simbolico, come una lente per raccontare la voce delle donne del cibo. Italiane e straniere, di ieri e di oggi: cuoche di casa, chef, food writers, content creators, fotografe, imprenditrici, sfogline, azdore, giornaliste.

Con questo racconto che intreccerà fatti, biografie e interviste spero di 1) tenerti compagnia durante l’estate, magari scoprendo insieme nuove cuoche e scrittrici; 2) cogliere l’evoluzione del rapporto tra donne e cucina.

Spero troverai interessante questa seconda parte visto che è pure d’attualità. Ognuno di noi segue influencers, cuoche televisive e della carta stampata o conosce qualcuno che sta cercando di costruirsi un lavoro nell’ambito del cibo (non c’è cibo senza cucina, da qui la decisione di utilizzare la parola cucina e non cibo).

Per alcune oggi la cucina è una scelta di lavoro e può portare persino successo e soddisfazioni. Per altre è ancora un luogo di sconfitta e frustrazione.

Da parte mia, tra un passato tutto improntato sulla costrizione e un futuro alla Martha Stewart per tutte (inteso come modello di successo), sono in cerca delle sfumature.

La vita delle donne è stata ed è ancora molto dura, anche a latitudini e in case dove non te lo aspetteresti. Tuttavia, non è nelle mie corde una analisi sociologica senza prospettive sulla condizione femminile. E nutro qualche dubbio anche sulla opportunità di disturbare Virginia Woolf, che nel celebre Una stanza tutta per sé invita le donne a lottare per affermare i propri talenti, sottolineando l’importanza di avere uno spazio, fisico e mentale, dove coltivare la propria felicità.

Quel saggio ha portato alcune a sostenere che, oggi, la cucina sia quella stanza.
Mi incuriosisce l’idea di capire quanto sia ampia questa nuova cucina delle opportunità. A quante persone può offrire successo e/o lavoro? C’è davvero spazio per tutti? A quali condizioni la cucina diventa un mestiere che garantisce reddito e indipendenza? È necessario avere titoli di studio e competenze? Esiste un percorso codificato che trasforma una generica relazione donne e cucina in un mestiere?

Sospetto che, lungo questo viaggio, tra luci e ombre, tra storie di successo e di straordinaria normalità, troveremo sia polvere che paillettes; più di una verità e qualche falso mito.

Alternando biografie, racconti, interviste, spero di comporre un mosaico affollato e vivo perché, nonostante tutto, la cucina resta sempre e comunque “l’ambiente più abitato, più tiepido di vita e d’intimità” per citare la Cosima di Grazia Deledda.

A proposito di Grazia Deledda e del titolo di questa newsletter.

Grazia Deledda siamo tutte noi.
Spettinate, controvento, felici a tratti, amate e ancora tanto odiate, discriminate, sempre in lotta contro il tempo, le cose da fare, gli uomini, le altre donne, il sistema, e pure costrette a fare i conti con un mondo che sta deragliando.

E si, facciamo ancora paura.

Meriteremmo ben altro che un pugno di newsletter.

Ciò detto, Fritto Misto è e rimane una newsletter gastronomica e, con le storie, ti porterà sempre una ricetta.

E visto che la maggior parte delle donne del passato sapeva cucinare e anche fare la pasta fresca, un simbolo del nostro paese, ho scelto una ricetta di lasagne.

Per gli iscritti a pagamento, oltre il paywall, c’è la seconda e penultima parte del primo capitolo del libro di cucina in 9 capitoli che sto inviando a puntate al costo annuale di 23,50 euro o di 5 euro al mese. Che poi è anche un modo per sostenere il mio lavoro di scrittura.

Ho condiviso quello che ho imparato sull’arte della sfoglia, curiosità, tabelle e un breve Glossario sentimentale sulla pasta fresca secondo la tradizione emiliano-romagnola.

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Chi ha paura di Grazia Deledda?

Nel passato, le stelle del firmamento gastronomico, gli chef de cuisine, celebrati e contesi da re, principi e papi, erano tutti uomini.

Alla cura delle donne era affidata la cucina quotidiana: necessaria quanto invisibile.

Per secoli, la cucina è stata un recinto, uno spazio di contenimento fisico e simbolico. Non sempre una stanza di dolore, ma spesso un luogo dove morivano sogni e desideri. Eppure, proprio lì, molte donne hanno trovato anche rifugio, calore, un senso di intimità e identità. Una prigione senza sbarre da cui si poteva uscire, ma alla quale si doveva sempre tornare.

Ancora oggi, tanto resta da fare per cambiare un modello culturale, sociale ed economico che favorisce gli uomini; ancora permeato da una mentalità maschilista e di familismo amorale. Senza dimenticare o ridurre l’impatto di un certo tipo di matriarcato che propone un modello che in apparenza mostra una donna indipendente e centrale nella famiglia mentre, in realtà, propone ancora un sistema di doveri e aspettative che grava principalmente sulle donne.

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Spazio domestico vs spazio pubblico

Per molto tempo, lo spazio domestico è stato l’unico a disposizione delle donne.

Per secoli, il sistema dominante ha impedito alle donne di studiare e lavorare fuori casa. Due condizioni fondamentali per realizzare qualsiasi forma di indipendenza.

Silenziare le donne ha significato escluderle, ignorarle, dimenticare tutto quello che avevano da dire, insegnare, donare alla società.

Le due guerre mondiali – soprattutto la seconda – hanno rappresentato un punto di svolta che ha permesso di sfuggire alla monotonia della sfera privata e di conquistare nuovi ruoli nella sfera pubblica.

Neppure la Democrazia Cristiana, partito conservatore saldamente al potere dal 1948 fino ai primi anni Novanta, riuscì a riportare indietro l’orologio.

La sua iconografia celebrava ancora la donna angelo del focolare, come prima il fascismo, ma qualcosa era cambiato. Le donne, pur tra mille contraddizioni, avevano nuove aspettative.

Io ho l’ho sperimentato in prima persona.

Sono cresciuta in una cucina allevata da una nonna che per me sognava tutto tranne un futuro… in cucina visto che lei sapeva bene quanto potesse essere soffocante quello spazio.

Le donne nate negli anni Venti e Trenta, come lei, comprendono i limiti del modello improntato sulla figura della rezdora, regina della casa ma senza un vero potere decisionale.

Nella prima parte del Novecento le donne non votavano, non potevano aprire un conto in banca e avevano problemi persino a ereditare/gestire il loro patrimonio. È solo con la conquista della dimensione pubblica che otterranno nuovi diritti mettendo in moto un cambiamento che è ancora in corso.

Nell’ambito del rapporto donne e cucina, fino al 1950, quelle che trovano lavoro fuori casa diventano balie, domestiche e cuoche.

Se ci pensi, in fondo si tratta dello spostamento da una cucina all’altra, da una casa a un’altra casa. Anche le mansioni sono le stesse.

Certo, esistono figure di ostesse e cuoche prima degli anni Quaranta, ma è solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale che le donne entrano nel mondo della ristorazione.

Le prime assunte in trattorie e ristoranti sono lavapiatti, sfogline, cameriere. Poi, finalmente, negli anni Cinquanta, le donne conquistano i fornelli dei ristoranti.

Quelle pioniere aprono strade che condurranno le donne ad abbracciare il cibo non solo per cucinarlo anche per raccontarlo, in tv e attraverso i giornali.

Hai voglia di scoprire insieme a me queste voci e queste storie?
Ti aspetto per continuare il viaggio con la prima newsletter di luglio!

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Lasagne con melanzane e stracchino

Teglia rettangolare 15x22 cm /5 strati
Per 4 persone
Ingredienti

Pasta fresca

200 g di farina

2 uova

Oppure 250 g di rettangoli di sfoglia già pronti

Nota sulla teglia

Che tu faccia la pasta fresca o utilizzi fogli già pronti per lasagne, non importa. Ritaglia o scegli dei rettangoli che vadano bene per la teglia che userai.

Ripieno

600 g di melanzane scure

1 scalogno o 50 g di cipolla

10 g di capperi

50 g di olive taggiasche, o quelle che hai e preferisci

10 g di capperi

320 g di stracchino

100 g di Parmigiano reggiano

sale e olio d’oliva q.b.

Sostituzioni:

puoi sostituire lo stracchino con crescenza o altro formaggio morbido

Vegan

stracchino vegano al posto di quello tradizionale;
lievito alimentare in scaglie oppure sesamo tostato e macinato al posto del Parmigiano;
sfoglia senza uova

Procedimento

Sfoglia

Per la ricetta della sfoglia ti aspetto sul blog oppure puoi passare a un abbonamento a pagamento per la versione con ricetta, approfondimenti e consigli.

Ripieno

Taglia a fette o a rondelle le melanzane, sala leggermente e metti a scolare per 30 minuti in modo che perdano l’amaro. Detto ciò, io non ho quasi mai voglia di aspettare questo tempo, quindi lavo le melanzane, elimino le estremità, taglio a cubetti di 1 cm circa e metto da parte mentre pulisco lo scalogno.

Elimina la buccia esterna dello scalogno, trita e fai appassire dolcemente con olio e un pizzico di sale in padella per 1 minuto; aggiungi le melanzane, un giro d’olio generoso, 1 g di sale e cuoci in padella a fiamma medio bassa su fornello piccolo per 15 minuti circa o fino a quando la verdura sarà morbida.

Spegni il fornello.

Sciacqua i capperi sotto acqua corrente.

Metti un terzo delle melanzane, i capperi e le olive e nel frullatore e riduci a crema.

Versa la crema nel tegame delle melanzane e mescola.

In una ciotola condisci lo stracchino con un pizzico di sale e di olio d’oliva.

Preriscalda il forno a 200 gradi, funzione statica.

Stendi sul fondo della teglia, nella parte centrale, un cucchiaio di stracchino.

Sistema il primo foglio di lasagna, distribuisci uno strato sottile di stracchino, uno di melanzane, senza esagerare, distribuisci un cucchiaio generoso di Parmigiano (circa 20 g a strato).

Copri con un altro foglio di lasagna e ripeti fino all’ultimo strato sul quale dovrai stendere con cura quello che rimane dello stracchino e distribuire il Parmigiano.

Cuoci in forno già caldo 10 minuti o fino a quando l’ultimo strato sarà dorato a tuo gusto.

Puoi servirle calde o a temperatura ambiente.

Pasta fresca dell’Emilia-Romagna

Da piccola guardavo le donne di casa mentre facevano la sfoglia. Ricordo che stavo in un angolo della cucina osservando il loro lavoro, attenta a non disturbare per non essere mandata via. È in quel periodo che ho imparato a diventare invisibile restando sullo sfondo come qualcosa che l’occhio vede ma non mette a fuoco.

L’invisibilità è un vero super potere per una raccoglitrice di storie.
Le donne iniziavano a raccontare prima bisbigliando poi a voce piena accompagnando la narrazione con lacrime, risate e gesti. Si erano già dimenticate di me, della bambina, come mi chiamavano.

In questo modo ho assorbito saperi e sapori che avrei riscoperto in seguito visto che non ho imparato a cucinare sin da piccola; nessuno, infatti, mi diceva vieni bambina fai questo o quello.

In quella cucina, dove avevo accesso ai fatti dei grandi, quelli che non erano adatti alle orecchie dei piccoli, prima di tutto ho imparato ad apprezzare il gusto delle storie che ruotano attorno alla tavola.

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