Conti corti e tagliatelle lunghe, dicono i Bolognesi
P. Artusi, L’Arte di Mangiar Bene
Per supportare il mio lavoro condividi questa newsletter con i tuoi amici o sui tuoi canali social. Il passaparola è prezioso per me ⬇️
Grazie, Monica
La storia della pasta è un viaggio che attraversa secoli e culture.
Inizia in Mesopotamia, passa dall’Italia, fa rotta per l’America e poi di nuovo verso il Belpaese dove, da genere alimentare senza identità precisa, nel corso del Novecento, assurge a simbolo nazionale.
Il viaggio di ritorno della pasta dall’America non sarà però in terza classe, come all’andata, quella che costa dolore e spavento, ma in prima, che costa mille lire, e sul suo cappello la vedrai sfoggiare una piuma verde, bianca e rossa.
Infatti, anche se la bandiera italiana nasce a Reggio Emilia (Emilia-Romagna) ben prima della fine di questa storia, quei colori sembrano pensati per lei con quell’innegabile richiamo a un piatto di spaghetti pomodoro e basilico.
Riprendiamo il viaggio
In Italia il XV secolo coincide con il Rinascimento, un’epoca che forse non ha predecessori e neppure successori. Difficile eguagliarlo. A questo proposito, J. Hooper in The Italians (2015) cita Harry Lime in Il terzo uomo, 1949 (regia di Carol Reed):
In Italia, per trent'anni sotto i Borgia, ci sono state guerre, terrore, omicidi e spargimenti di sangue, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera c'è stato l'amore fraterno, cinquecento anni di democrazia e di pace, e cosa ha prodotto? L'orologio a cucù.
Quello successivo, il XVI è simile, solo più turbolento, in Italia e in tutta Europa.
Prima di proseguire, è importante ricordare che a quel tempo la Spagna governa
il Regno delle due Sicilie, vale a dire tutte le regioni italiane a sud dello Stato Pontificio. La capitale del Regno è Napoli.
Tra 1400 e 1500 la conoscenza della pasta, fresca e secca, è diffusa anche se non fa ancora parte della dieta popolare quotidiana. E sulla tavola alta mantiene una funzione accessoria nonostante il successo della miniaturizzazione delle torte medievali in tortelli e tortellini. Oppure funge da contorno.
Qui è dove ho lasciato la pasta, a fine Cinquecento, nella newsletter precedente.
Qual è l’evento che cambia la sua condizione da cibo elitario in nazional-popolare?
E il momento storico che spoglia i siciliani del titolo di mangiamaccheroni costretti, si fa per dire, a cedere lo scettro ai napoletani?
Questi interrogativi stanno per trovare risposta ma lasciami andare a spasso per la storia un altro po’. C’è ancora qualche aneddoto gustoso da cucinare prima di fermarci a Napoli nel 1600.
I ricettari italiani più famosi del periodo compreso tra Trecento e Cinquecento, dal medievale Liber de Coquina all’Opera cinquecentesca dello Scappi (1500-1577), cuoco di principi e Papi, raccomandano di (s)cuocere la pasta a lungo, anche per ore e ore.
E suggeriscono di servirla insieme alle carni o usarla per ricoprire gli arrosti.
L’abitudine tuttora praticata in molte cucine europee di accompagnare un secondo piatto con la pasta, costume che gli emigranti diffondono nelle Americhe, rimanda a un uso che faceva parte delle tradizioni gastronomiche più antiche, anche italiane, e affonda le sue radici nella storia.
Forse per la mia indole un po’ mitteleuropea, è un uso che a me non dispiace.
Ok, l’ho scritto.
Tra 1600 e 1700 cessa, almeno in Italia, la funzione della pasta come contorno.
E anche se siamo ancora lontani dalla cottura al dente che pratichiamo oggi, a Napoli, per la prima volta nel corso del XVII secolo, si diffonde l’abitudine di una cottura veloce anche per la pasta secca.
D’accordo, è tempo di raccontare quando e come i napoletani soffiano il titolo di mangiamaccheroni ai siciliani.
L’origine degli spaghetti non era da cercarsi in Campania, bensì in Sicilia; però il ruscello sgorgato dall’isola aveva ottenuto l’ampiezza, la profondità dell’impeto di un fiume soltanto a Napoli, un fiume che successivamente aveva inondato l’Italia e il mondo (Benedetto Croce, 1866-1952)
I fatti
Emilio Sereni (1907-1977), storico, intellettuale, dirigente del Pci e padre di Clara (1946-2018) autrice di Casalinghitudine (ne parleremo!), ha dedicato uno studio a questo passaggio (trovi il riferimento alla ricerca di Sereni nella bibliografia in fondo alla Storia della pasta-parte 1).
Se i siciliani sin dal 1200 hanno il soprannome di mangiamaccheroni, l’attributo convenzionale che designa i napoletani è quello di mangiafoglie (dalla foglia di cavolo che avvolgeva una noce di carne macinata, tipico mangiare delle classi popolari).
Nel corso del XVII secolo accadono due cose rilevanti
malgoverno spagnolo e frequenti carestie causano l’aumento improvviso del prezzo della carne, fino a quel momento accessibile anche al popolo (sebbene in quantità ridotte e di qualità inferiore).
Nel frattempo, nella città partenopea, abili artigiani mettono a punto due macchinari fondamentali per lo sviluppo dell’industria pastaria: la gramola, impastatrice meccanica, e il torchio che permette di ottenere velocemente diversi formati di pasta.
Sereni rileva come le novità tecnologiche riducono i costi della produzione della pasta e, di conseguenza, anche quelli al consumo. A Napoli, nel corso del Seicento, i maccheroni diventano un alimento di base accessibile a tutti. Quando pasta e formaggio sostituiscono cavolo e carne, i napoletani conquistano il titolo di mangiamaccheroni.
I banchi dei maccheronari, con i diversi formati stesi ad asciugare come panni, affollano le vie e le piazze della città. La pasta diventa uno street food che i napoletani consumano bollente e senza forchetta sul posto. Il consumo è talmente diffuso da diventare oggetto di interesse e divertimento da parte degli stranieri che visitano Napoli in occasione del Grand Tour, viaggio di formazione e svago per nobili e ricchi borghesi di tutta Europa.
Anche Goethe (1749-1832) nel suo Viaggio in Italia (1787), descrive lo spettacolo del popolino che acquista a buon mercato e consuma in strada un piatto fumante di pasta spolverato di formaggio grattugiato.
Per ragioni ben comprensibili, il tempo di cottura si riduce sensibilmente.
Infine, la pasta è finalmente per tutti anche se non ancora è diffusa come potremmo credere.
Al nord come al sud, tra le classi più povere, zuppe, polenta e pane secco sono sempre gli alimenti più consumati.
L’Italia s’è desta, il Risorgimento della pasta
Nel corso del Settecento e nella prima parte dell’Ottocento non accade nulla di nuovo.
Incredibilmente, per fare un altro passo in avanti, dobbiamo attendere l’unità d’Italia (1861) quando i maccheroni, simbolo di Napoli e, per estensione, del Regno delle Due Sicilie, da pietanza iniziano a diventare emblema della nuova nazione italiana.
Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), è Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna quando diventano maturi i frutti dei moti risorgimentali che hanno attraversato la prima parte del secolo. Al punto tale che in pochi anni è un susseguirsi di rivoluzioni e plebisciti per chiedere l’annessione al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II (1820-1878).
Il 7 settembre 1860, alla vigilia dell’ingresso del suo esercito a Napoli, Giuseppe Garibaldi (1807-1882) scrive a Cavour per informarlo che “i maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”.
Questa terminologia gastronomica declinata in un contesto militare contiene un implicito riconoscimento di una diversità regionale che doveva necessariamente trovare accoglienza nel nuovo contesto nazionale.
Il 17 marzo 1861 il Regno d’Italia è cosa fatta anche se, usando una frase attribuita a Massimo D’Azeglio (1798-1866), “fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”.
Semplificando, ma neppure troppo, il Piemonte sabaudo fa l’Italia in questo modo
estende la leva obbligatoria e trasferisce burocrazia e leggi a tutto il territorio del nuovo Regno d’Italia. Sic et simpliciter.
Di contro, permette una meridionalizzazione dell’identità subalpina attraverso l’occupazione della pubblica amministrazione da parte di funzionari e impiegati delle regioni del sud appena annesse. E utilizza il cibo in un’ottica unificante.
E quando scrivo cibo intendo soprattutto la pasta.
Nella seconda metà dell’Ottocento, è finalmente un prodotto il cui consumo sta diventando popolare e un elemento incuneato nella costruzione della nuova identità nazionale.
Un contributo rilevante a questo processo, viene dal romagnolo Pellegrino Artusi (1820-1911) che con la prima edizione del manuale La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicata nel 1891, giusto 30 anni dopo la creazione del Regno d’Italia, si propone di unificare gli usi gastronomici del paese. Esattamente come Alessandro Manzoni (1785-1873) aveva cercato di fare dal punto di vista linguistico con I Promessi Sposi (1827).
Il contributo di Artusi, anche lui mangiamaccheroni
La pubblicazione del suo manuale segna la nascita della moderna cucina italiana.
Ricette, consigli e storie raccolte dall’Artusi fotografano l’Italia di fine Ottocento in modo unico. Il libro è scritto in italiano e ha il merito di uscire dall’ambito regionale per comporre un quadro più ampio, nazionale appunto, accogliendo piatti della tradizione contadina, popolana, borghese e nobiliare.
Per primo, il gastronomo italiano presenta finalmente un gran numero di ricette di pasta, contribuendo a portarla sulla tavola degli Italiani e a diffondere definitivamente una cottura corretta e unificante.
Parlando di pasta, c’è un aneddoto succulento, narrato dallo stesso Artusi, della volta in cui fu appellato mangiamaccheroni (il manuale artusiano offre molti racconti di valore storico).
Nel preambolo della ricetta n. 235, Maccheroni col pangrattato, scrive Artusi che, nel 1850, pranzava alla trattoria Tre Re di Bologna in compagnia di alcuni studenti universitari e, tra questi, c’era Felice Orsini (1819-1858), giovane intellettuale e rivoluzionario romagnolo che, nel 1858, attenterà alla vita dell’Imperatore francese Napoleone III (1808-1873).
A quel tempo Bologna fa ancora parte dello Stato della Chiesa.
Orsini in quella occasione parla con troppa liberalità di rivoluzione e attentati.
Artusi, più accorto, sa che le osterie sono piene di spie e, per non avere problemi, preferisce concentrarsi sul suo piatto di maccheroni. L’altro romagnolo rimase offeso dal comportamento del gastronomo e, in seguito, parlando con amici comuni, riferendosi ad Artusi, chiedeva “Come sta mangiamaccheroni?”
Nel 2020 ho partecipato al Progetto Artusi ad alta voce. Una lettura domestica e popolare a cura di Casa Artusi e Comune di Forlimpopoli. Video-lettura delle ricette artusiane. QUI puoi ascoltare la lettura integrale della ricetta N. 235, Maccheroni col pangrattato.
Termino questa newsletter ricordando che l’ultimo mattoncino della storia che si conclude con la pasta assurta a simbolo della Italianità, è intriso della forza degli uomini e delle donne che sin dagli ultimi decenni dell’Ottocento migrano verso l’Europa e Oltreoceano in cerca di lavoro e di una vita migliore.
Questo sarà argomento della prossima, e ultima, puntata dedicata alla pasta!
Puntate precedenti
La Ricetta.
Maccheroni col pangrattato
Ricetta n. 235, Artusi
per 4 persone
Lista degli ingredienti
320 g di maccheroni
30 g di olio d’oliva
1/2 litro di besciamella (vedi sotto)
100 g di formaggio tipo gruviera, a cubetti piccoli
60 g di burro
50 g di Parmigiano grattugiato + 10 g per spolverare la pasta
50 g di pangrattato + 10 g per spolverare la pasta
1/2 cucchiaino di noce moscata
burro o olio d’oliva q.b. per la teglia
sale q.b.
per la balsamella
500 ml di latte
50 g di farina
50 g di burro
5 g di sale fino
1/2 cucchiaino di noce moscata
Procedimento
Cuoci in acqua salata i maccheroni e scola quando sono ancora al dente.
Mescola con l’olio d’oliva per evitare che si attacchino e metti da parte.
Prepara la besciamella: sciogli il burro sul fuoco poi togli il tegame dal fornello. Senza perdere tempo, aggiungi un pizzico di sale e di noce moscata e la farina. Mescola con vigore per sciogliere eventuali grumi. Rimetti sul fuoco per un minuto per tostare la farina e poi aggiungi il latte, poco alla volta, sempre mescolando. Continua fino a quando il cucchiaio incontra resistenza e spegni il fornello.
Preriscalda il forno a 200 gradi, funzione statica.
In una ciotola versa i maccheroni, il gruviera, la besciamella e mescola.
Poi aggiungi burro, Parmigiano, pangrattato, noce moscata e un pizzico di sale. Mescola ancora.
Rovescia i maccheroni conditi in una teglia precedentemente unta con olio o burro.
Mescola 10 g di Parmigiano e 10 g di pangrattato e cospargi la superficie in modo uniforme. Se vuoi aggiungi qualche fiocco di burro.
Fai gratinare nel forno già caldo a 190 gradi per 10-15 minuti.
Continuiamo la conversazione?
Se ti va scrivimi a tortellinico@gmail.com oppure su Instagram.
Fammi sapere se ti piace Fritto misto cliccando sul pulsante "Mi piace" ❤️ che trovi qui sotto ⬇️ e lasciando un commento. GRAZIE!
Come sostegno al mio lavoro, ti sarò grata se vorrai condividere la newsletter con persone che amano leggere e cucinare. Se ancora non lo hai fatto, puoi iscriverti QUI.