La rìcciola di Imola
Microstoria di un prodotto gastronomico locale e il cestino del pane di un ristorante stellato
“La rìcciola di Imola non è un pesce. Non è nemmeno una rosetta, un croissant o una girella danese”. Con queste parole l’imolese Francesca Andalò, introduce la ricciola, con l’accento che cade sulla prima i, nella tesi di laurea dove ha raccolto aneddoti, ricetta e fotografie d’archivio sull’argomento.
La ricciola di Imola è un lievitato a metà tra pane e brioche.
E nel suo impasto c’è anche il sapore della microstoria di un prodotto che, con una manciata di altre ricette e ingredienti, definisce l’identità di una città, Imola, che è un pezzo di Romagna dimenticato da qualcuno in Emilia.
Infatti, nonostante sia collocata in provincia di Bologna, la città fondata dai Romani con il nome di Forum Cornelii, è di cultura, gastronomia e dialetto romagnolo. Adagiata lungo la Via Emilia è anche la città dove sono nata e cresciuta.
Ti ho già raccontato delle zone della Romagna che si trovano fuori dai suoi confini. C’è quella Marchigiana, la Romagna Toscana e, infine, Imola, della quale ti parlerò presto in un numero di Via Emilia, l’approfondimento di Fritto Misto dedicato all’Emilia-Romagna.
Romagna Marchigiana
Romagna Toscana
La ricciola è stata inserita nell’elenco delle De.Co. (una sigla che significa denominazione comunale) di Bologna. Ossia nella lista dei prodotti agroalimentari e delle attività tradizionali bolognesi e di tutto il suo territorio metropolitano, Imola compresa.
Per me è stata una delle colazioni e merende della mia infanzia.
Quando ho deciso di condividere la ricetta sul mio blog Tortellini&CO, un progetto di cucina dedicato ai sapori dell’Emilia-Romagna, ho pensato di chiedere a un protagonista di raccontarmi la storia della brioche. Ed ecco che, grazie all’intercessione di Valentino Marcattilii, in un freddo pomeriggio di marzo di quest’anno, ho guidato in direzione Imola per incontrare il maestro panettiere Ermes Ricci, detto Pasticcio. Nel caso tu non lo sappia, in Romagna molti hanno un soprannome, a volte anche un po’ scomodo da portare.
Seduti nella cucina del maestro, ascolto il suo racconto quando si unisce a noi, in un pomeriggio memorabile, anche Valentino. Tra la famiglia Ricci e Valentino Marcattilii, chef del bistellato San Domenico di Imola (ha ottenuto 3 stelle per il San Domenico di New York quando ha lavorato lì), corre un filo sottile tenuto insieme dalla ricciola.

Storia di una ricciola che non è un pesce
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, lo sviluppo dei processi industriali rese obsolete molte lavorazioni artigianali, ad esempio quelle di cordaio e canapino (erano le persone che lavoravano la canapa).
Angelo Ricci, il creatore della ricciola e babbo del Maestro Ermes Ricci, da canapino diventò pasticcere iniziando a lavorare come apprendista presso la pasticceria artigianale Flamigni di Forlì (fondata nel 1930 e ancora esistente).
Il maestro ricorda che in quel laboratorio, alla fine degli anni Quaranta, il padre Angelo creò la prima ricciola.
Dopo avere imparato il mestiere, Angelo Ricci si spostò a Rimini come fornaio estivo. La fine del secondo conflitto mondiale coincise con l’inizio di quella stagione turistica che ha reso famosa la Riviera Romagnola a partire dagli anni Cinquanta. E proprio il turismo mise le ali alla ricostruzione e alla ripresa economica visto che servivano alberghi, ristoranti, bar e, naturalmente, cuochi, fornai, sfogline, pasticceri e camerieri.
Ermes Ricci ricorda che affittavano una parte di forno in Piazza Tripoli a Rimini e dormivano in un appartamento all’ultimo piano dove il tetto bombardato non era ancora stato ricostruito. Sorride a questo ricordo e si capisce che erano bei tempi anche senza un tetto sulla testa.
A Rimini, Angelo Ricci impasta e cuoce i prodotti che vende a forni e alberghi.
Fa il pane tutti i giorni, i dolci solamente giovedì e domenica. All’epoca il dessert a fine pasto era l’eccezione e non la regola nelle pensioni e nei piccoli alberghi a conduzione familiare della città balneare romagnola.
E poi, naturalmente, faceva teglie e teglie di ricciole rivendute nei forni cittadini e dagli ambulanti in spiaggia insieme ai bomboloni ripieni di crema. All’epoca non c’erano il cocco fresco venduto a pezzi o i canditi, la frutta caramellata infilata negli stecchi che ancora oggi puoi comprare in spiaggia tra Rimini e Riccione.
A quei tempi, i venditori non provenivano dal sud o dall’estero, erano stagionali di origine Toscana che, a piedi, allora come oggi, battevano la spiaggia al grido di “ricciola, bomboloni”.
Nota sul bombolone: è una ricetta tradizionale dell’Emilia-Romagna e non va confuso con il krapfen.
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La ricciola torna a casa
Negli anni Cinquanta Angelo Ricci tornò nella nativa Imola e qui inaugurò il Bar dei Giardini, locale storico della città che affaccia sui giardini del complesso di San Domenico, proprio di fronte all’edificio che dagli anni Settanta ospita il ristorante stellato San Domenico.
Ermes lavorava nel laboratorio con il padre Angelo. Tra gli apprendisti c’era un giovanissimo Valentino Marcattilii che, anche dopo essere diventato uno chef famoso e stellato, non ha mai dimenticato l’inizio del suo percorso come garzone e poi apprendista.
Questa è la ragione che ha portato Valentino nella cucina di Ermes un certo pomeriggio di marzo. La storia della ricciola è anche la sua. Come dice lui stesso, è una ricetta che dopo l’exploit riminese è rimasta circoscritta al territorio della città ma che in una Italia profondamente legata a una idea di colazione dolce, soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta, rappresentò una grande novità.
Lo chef Marcattilii ha deciso di celebrare la ricciola inserendola nel cestino del pane del San Domenico. Un omaggio verso un prodotto tipico di Imola e d'amicizia verso Ermes Ricci che lui chiama maestro. E quando è stato il momento, Ermes ha portato nella cucina stellata del ristorante imolese l’arte della ricciola trasferendola a Valentino e al pastry chef del ristorante.
La ricetta della ricciola e il valore dell’esperienza
Quel giorno ho portato a casa intervista e ricetta che, sappilo, è una prova insidiosa.
Nel senso che la ricetta viene sempre ma non è detto che abbia il sapore della ricciola di Imola.
Io l’ho fatta diverse volte ma solo in una occasione ho esclamato: ecco, è lei.
Il mio consiglio è di provare e poi andare a Imola per assaggiare l’originale.
La ricetta che trovi sul blog è quella del maestro Ermes Ricci, quindi direi originale che più di così non si può ma, di nuovo, attenzione.
Ti lascio con le parole con le quali mi ha salutato Valentino quel giorno:
Tu non sei una che ha paura di mettere le mani in pasta, adesso hai la ricetta. Ma non c’è bisogno che te lo dica io: avere la ricetta non significa niente. Quindi vai a casa e inizia a provare, una due, tre volte. Poi vedrai che ti viene. È quello che ho detto anche a mio nipote che voleva che gli insegnassi a farla.
Se ti stai chiedendo cosa manca quando hai la ricetta, la risposta è semplice: i gesti, quelli che, di solito, sono nascosti tra le righe della ricetta. E su questo aspetto i due maestri sono stati un po’ lacunosi. Sospetto che entrambi considerino l’esercizio il preludio alla rivelazione.
Io sono meno severa e sul blog trovi tutto quello che ho capito provando e sbagliando.
Rìcciola di Imola: la ricetta
Ricette e prodotti tipici di Imola
Scalogno di Imola
Vera torta o Torta vera (storia e ricetta sono sul blog)
Cappelletti imolesi
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Che bella questa storia Monica, forse una delle mie preferite tra quelle raccontate nelle tue newsletters. "L'esercizio come preludio della rivelazione", bellissimo! E poi i gesti, l'importanza dei gesti, quanto è vero, e non solo in cucina. Delle persone care sono spesso i gesti che ricordo con particolare affetto.
Mi sono resa conto di quante cose ho imparato sulla cucina della tua regione da quando ti seguo, è un po' come fare un viaggio, perché la conoscenza dei luoghi passa sicuramente anche dalla tavola! Le tue newsletters sono sempre preziose! ♥️